Laura Grispigni nasce a Roma il 23.12.1963
Storici e critici d’Arte che hanno parlato di lei:
Alfredo. M. Barbagallo, Cinzia Folcarelli, Romina Guidelli, Anna Iozzino, Dino Leoni.
[..Nel 1998 mi sono iscritta all’Accademia di Belle Arti di Roma dove ho seguito il corso di Pittura tenuto dal Maestro Gianfranco Notargiacomo. Scelta non casuale. Il suo ritorno alla pittura, da artista concettuale che era stato, prevedeva cose come la preparazione manuale della tela o “l’arte di come presentare l’opera” al pubblico e questo fa parte ora del mio bagaglio. Tuttavia quello che realmente mi interessava era la sua tendenza, e per noi studenti un’esortazione, verso una pittura gestuale, soltanto che alla sua, impetuosa, ho opposto la mia, più “riflessiva”. Mi era più congeniale, ma questo, forse, era un bagaglio che già mi apparteneva, come mi appartiene un linguaggio figurativo ma mai realista, sospeso sempre tra il sogno e il desiderio di intrappolarlo tra le maglie della tela. Altre volte, nella “costruzione” dei miei dipinti, mi lascio sedurre dall’Arte che Kandinsky chiama spirituale, comunemente, e per me a torto, categorizzata come astratta.
Ma se esiste la legge di compensazione, ebbene, io ne faccio parte. Sogno, favola o spirituale che sia, non posso non rivendicare quella parte di me che oserei definire terragna. Da qui l’inesorabile predilezione per la forma pittorica materica. All’uso dei colori acrilici affianco quello di materiali come sabbia, calce e fondi di caffè. La scelta di utilizzare i fondi di caffè nasce dalla convergenza di molteplici urgenze e fascinazioni: il riutilizzo di un materiale di scarto in una sorta di ready-made o piuttosto di contaminazione con alcune recenti tendenze dell’arte contemporanea. Inoltre questo prodotto, avendo una valenza universale, conferisce al quadro uno spessore materico oggettivo denso di richiami olfattivi e tattili e di memorie antiche, tali da rendere i gesti quotidiani appartenenti a un rituale che allude a un regno ormai quasi trascendentale. La manipolazione di questo elemento-pigmento diventa inevitabilmente un gesto bivalente. Da un lato c’è una specie di riappropriazione della manualità dei primitivi, di quando i pigmenti si univano ai vari medium naturali dopo essere stati ricavati sbriciolando pietre o terre contenenti gli elementi chimici che ne determinavano la colorazione, dall’altro il modo in cui questo pigmento va a impadronirsi della tela (come ho già detto, rigorosamente preparata a mano) proviene direttamente dalla gestualità dell’action painting. Sogno e feroce abbarbicamento alla terra? Appunto.
Nel procedimento del come sono già esplicite le fonti e gli intenti della poetica sottesa: una pittura espansa e aperta, frutto di una lettura intima che attiene alla necessità di una forma espressiva totale a tal punto da negare, o per lo meno contraddire, la propria identità costitutiva. E’ chiaro che non pretendo (a questo punto vorrei tanto dire non mi sogno, l’irriverenza è il mio peggior pregio) di imporre un’interpretazione univoca, perché in essa non vi sono storie né avventure, ma solo degli accenni che ognuno deve ritrovare e svolgere dentro di se. L’opera seconda, d’altronde, lasciamola ai critici...]
Storici e critici d’Arte che hanno parlato di lei:
Alfredo. M. Barbagallo, Cinzia Folcarelli, Romina Guidelli, Anna Iozzino, Dino Leoni.
[..Nel 1998 mi sono iscritta all’Accademia di Belle Arti di Roma dove ho seguito il corso di Pittura tenuto dal Maestro Gianfranco Notargiacomo. Scelta non casuale. Il suo ritorno alla pittura, da artista concettuale che era stato, prevedeva cose come la preparazione manuale della tela o “l’arte di come presentare l’opera” al pubblico e questo fa parte ora del mio bagaglio. Tuttavia quello che realmente mi interessava era la sua tendenza, e per noi studenti un’esortazione, verso una pittura gestuale, soltanto che alla sua, impetuosa, ho opposto la mia, più “riflessiva”. Mi era più congeniale, ma questo, forse, era un bagaglio che già mi apparteneva, come mi appartiene un linguaggio figurativo ma mai realista, sospeso sempre tra il sogno e il desiderio di intrappolarlo tra le maglie della tela. Altre volte, nella “costruzione” dei miei dipinti, mi lascio sedurre dall’Arte che Kandinsky chiama spirituale, comunemente, e per me a torto, categorizzata come astratta.
Ma se esiste la legge di compensazione, ebbene, io ne faccio parte. Sogno, favola o spirituale che sia, non posso non rivendicare quella parte di me che oserei definire terragna. Da qui l’inesorabile predilezione per la forma pittorica materica. All’uso dei colori acrilici affianco quello di materiali come sabbia, calce e fondi di caffè. La scelta di utilizzare i fondi di caffè nasce dalla convergenza di molteplici urgenze e fascinazioni: il riutilizzo di un materiale di scarto in una sorta di ready-made o piuttosto di contaminazione con alcune recenti tendenze dell’arte contemporanea. Inoltre questo prodotto, avendo una valenza universale, conferisce al quadro uno spessore materico oggettivo denso di richiami olfattivi e tattili e di memorie antiche, tali da rendere i gesti quotidiani appartenenti a un rituale che allude a un regno ormai quasi trascendentale. La manipolazione di questo elemento-pigmento diventa inevitabilmente un gesto bivalente. Da un lato c’è una specie di riappropriazione della manualità dei primitivi, di quando i pigmenti si univano ai vari medium naturali dopo essere stati ricavati sbriciolando pietre o terre contenenti gli elementi chimici che ne determinavano la colorazione, dall’altro il modo in cui questo pigmento va a impadronirsi della tela (come ho già detto, rigorosamente preparata a mano) proviene direttamente dalla gestualità dell’action painting. Sogno e feroce abbarbicamento alla terra? Appunto.
Nel procedimento del come sono già esplicite le fonti e gli intenti della poetica sottesa: una pittura espansa e aperta, frutto di una lettura intima che attiene alla necessità di una forma espressiva totale a tal punto da negare, o per lo meno contraddire, la propria identità costitutiva. E’ chiaro che non pretendo (a questo punto vorrei tanto dire non mi sogno, l’irriverenza è il mio peggior pregio) di imporre un’interpretazione univoca, perché in essa non vi sono storie né avventure, ma solo degli accenni che ognuno deve ritrovare e svolgere dentro di se. L’opera seconda, d’altronde, lasciamola ai critici...]